Orio Vergani


Orio Vergani (Milano, 6 febbraio 1898 – Milano, 6 aprile 1960) è stato uno dei più importanti giornalisti italiani.
A soli 26 anni fu chiamato al Corriere della Sera come inviato speciale.
Lavorò nel maggiore quotidiano italiano per 34 anni, coprendo con i suoi articoli la pagina politica, la terza pagina e la pagina sportiva.
Orio Vergani divenne celebre nel giornalismo sportivo come inviato al seguito di ben 25 «Giri d'Italia» e di altrettanti «Tour de France».

Nel 1940 scrivendo del Giro d'Italia , Vergani diceva: “Avevo visto Binda, Girardengo, Verwaecke, Bartali, tutti campioni da leggenda. Ma sulle salite dell’Abetone e del Barigazzo ho visto qualcosa di nuovo: aquila, rondine, non saprei cosa dire, che sotto alla frusta della pioggia e il tamburello della grandine, le mani alte e leggere sul manubrio, le ginocchia che giravano implacabili, le gambe che bilanciavano nelle curve come ignorando la fatica, volava.
Volava, letteralmente volava su per quelle dure scale dei monti.
Coppi passava tra il silenzio della folla, che non sapeva chi fosse, applaudivano, solamente applaudivano”.

Fra le pagine da lui scritte resta immortale quella dedicata alla morte di Fausto Coppi che riporto sotto.

Il grande airone ha chiuso le ali. Quante volte Fausto Coppi evocò in noi l'immagine di un grande airone lanciato in volo con il battere delle lunghe ali a sfiorare valli e monti, spiaggi e nevai? Fortissimo e fragile al tempo stesso, qualche volta la stanchezza e la sfortuna lo abbattevano e lo facevano crollare a terra, sul ciglio di una strada o sull'erba del prato di un velodromo: la sua figura sembrava spezzarsi in una strana geometria; come quella di un pantografo, e una volta di più suscitava l'immagine di un airone ferito...

Il testo completo dell'articolo è qui

«Fausto vinse sempre senza mai sorridere, quasi non credesse mai totalmente in se stesso», scrive Orio Vergani sul Corriere della Sera il giorno dopo la sua morte. «Sembrava sempre sovrappensiero: come stranamente e fissamente in ascolto di una qualche voce interna che gli andasse mormorando dentro una incomprensibile parola. Quella parola segreta non era "fortuna". La guigne, vecchia parola delle antiche corse su strada ha rotto il filo della sua vita fragilissima, come un piccolo soffio di vento spezza il filo di ragno coperta di brina, là, sulle siepi invernali del suo paese di campagna».